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ANTIDOLORIFICI

ALCUNI ANTIDOLORIFICI POSSONO FARE AUMENTARE I RISCHI CARDIACI

Antidolorifici comunemente utilizzati per il trattamento dell’artrite possono incrementare i rischi per il cuore, sia infarti che ictus. Lo afferma uno studio dell’Università di Berna, in Svizzera, pubblicato sul British Medical Journal, una delle più ampie ricerche fin qui condotte sui possibili effetti collaterali di farmaci molto diffusi come ibrupofene, diclofenac, naprossene e altri cosiddetti fans, farmaci antinfiammatori non steroidei, e Cox-2, inibitori selettivi della ciclo-ossigenasi. Sotto la lente anche il Vioxx, nome commerciale del rofecoxib, ritirato dal mercato nel 2004 per i rischi per la salute.

Lo studio, che ha analizzato 31 precedenti ricerche sull’argomento, riguarda 116.000 pazienti che hanno assunto antidolorifici regolarmente soprattutto per la cura dell’artrite. Il risultato è che rofecoxib e lumiracoxib sono stati associati con un raddoppio del rischio di infarto, etoricoxib e diclofenac con un rischio quattro volte maggiore di infarto, mentre l’ibruprofene è associato a un rischio tre volte superiore di ictus. Meno pericoloso, secondo l’indagine del Bmj, il naprossene, le cui interazioni a livelli cardiovascolari si sono rivelate più modeste.

“In conclusione, le opzioni per il trattamento del dolore cronico muscoloscheletrico sono limitate – afferma uno degli autori dello studio, Peter Juni – e pazienti e medici devono essere consapevoli che il rischio cardiovascolare per il trattamento deve essere tenuto in considerazione al momento della prescrizione”. Il rapporto tra benefici e rischi dei fans e dei cosiddetti farmaci Cox-2, inibitori selettivi della ciclo-ossigenasi, deve essere valutato attentamente per i trattamenti di lungo-periodo.

Per approfondimenti
http://www.bmj.com/content/342/bmj.c7086.full
Fonte: Sanità news 27/01/2011

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BASSI LIVELLI DI COLESTEROLO LDL e RISCHIO CANCRO

UNA META-ANALISI INDICA CHE BASSI LIVELLI DI COLESTEROLO LDL POSSONO ESSERE ASSOCIATI AD UN RISCHIO MAGGIORE DI CANCRO.
(Alessandro Oteri, Dipartimento Clinico e Sperimentale di Medicina e Farmacologia dell’Università di Messina)

La riduzione dei livelli plasmatici di colesterolo rappresenta la principale strategia per ridurre il rischio cardiovascolare. Tra gli agenti ipocolesterolemizzanti attualmente disponibili, le statine rappresentano senza dubbio i farmaci più utili la cui efficacia è ormai supportata da numerose evidenze scientifiche. Dati recenti, provenienti da trial clinici di ampie dimensioni, hanno dimostrato che un intenso abbassamento dei livelli plasmatici di colesterolo offre una più efficace riduzione del rischio cardiovascolare (1-3). Tuttavia, in una recente meta-analisi condotta da Alsheikh e coll, è stato osservato che i pazienti con bassi livelli plasmatici di LDL, ottenuti mediante la somministrazione di statine, presentano un rischio significativamente maggiore di ricevere una diagnosi di cancro rispetto a quelli con elevate concentrazioni di colesterolo (4). Riportiamo di seguito una breve sintesi dello studio ed alcuni commenti inviati all’editore.

Lo studio
L’indagine è stata condotta attraverso una ricerca effettuata su MEDLINE nell’ambito della quale sono stati identificati tutti gli RCT prospettici sulle statine pubblicati fino al mese di novembre del 2005.
Il principale obiettivo dello studio è stato quello di valutare la relazione esistente tra riduzione dei livelli di colesterolo ed innalzamento dei livelli plasmatici di enzimi epatici e rabdomiolisi. In modo simile è stata valutata la relazione esistente tra riduzione dei livelli di colesterolo e nuove diagnosi di cancro nei gruppi di trattamento con le statine. L’incidenza di tali eventi è stata valutata in funzione della dose, suddividendo le statine in tre categorie di dosaggi: bassi, medi ed elevati.
Le variabili considerate sono state: statina utilizzata, dose, numero di pazienti inseriti nel gruppo di esposizione alle statine, durata del follow-up, livelli di colesterolo (iniziali e durante il trattamento) e numero di pazienti che hanno manifestato aumento degli enzimi epatici, rabdomiolisi o cancro. Per ciascuno di questi effetti sono state calcolate le incidenze per 100.000 persone/anno.

Risultati
Nella meta-analisi sono stati inclusi 23 trial clinici pubblicati sulle statine, utilizzate a vari dosaggi e con un follow-up di almeno 1000 persone/anno, per un totale di 75.317 pazienti trattati, con un follow-up cumulativo di 309.506 persone/anno (tabella 1) (1,2,5-18).

I risultati hanno evidenziato che l’incremento degli enzimi epatici era correlato in maniera significativa all’assunzione di dosi elevate di statine.
Le incidenze di tale effetto sono state rispettivamente di 271 con dosi elevate, 195 con dosi intermedie e 114 con basse dosi di statine per 100.000 persone/anno per ogni 10% di riduzione dei livelli di LDL (p < 0,001 per tutte le coppie di confronto).
Anche l’incidenza della rabdomiolisi è risultata maggiore sebbene in modo non significativo in associazione a dosi elevate di statine.
Nell’analisi è stato inoltre osservato più di un caso di nuova diagnosi di cancro per 1000 pazienti con bassi livelli di LDL in seguito a trattamento con statine (inferiore a 100 mg/dl) rispetto a quelli con maggiori concentrazioni di colesterolo (100-150 mg/dl).
I ricercatori hanno dunque evidenziato una relazione significativamente inversa tra i più bassi livelli di LDL, ottenuti in seguito all’assunzione di statine, ed il rischio di una nuova diagnosi di cancro (inclusi genito-urinario, prostatico, respiratorio ed ematologico) (RR = 0,43; P = 0,009) mentre non è stata identificata alcuna relazione significativa tra riduzione relativa o assoluta dei livelli di LDL e incidenza del cancro (tabella 2).

Commento
Gli autori della revisione hanno commentato i risultati da essi ottenuti affermando che “alla luce dell’attuale opinione secondo cui più bassi sono i livelli di colesterolo minore è il rischio cardiovascolare, può essere prudente non utilizzare dosi di statine superiori a quelle necessarie per ottenere il target di colesterolo richiesto”. Inoltre, sempre secondo gli autori, è importante notare che “l’uso di statine non è da solo associato ad un incremento del rischio di cancro rispetto al placebo” anche se gli studi precedenti non hanno fornito una risposta alla domanda che essi si sono posti, ovvero: nei pazienti trattati con statine, qual è la relazione tra riduzione dei livelli di LDL ed incidenza del cancro?
La correlazione tra bassi livelli di colesterolo e aumento dell’incidenza del cancro è stata osservata in diversi studi epidemiologici (19) e sembra contrastare la riduzione della mortalità da cause cardiovascolari (20,21). Nella maggior parte di tali indagini, l’incidenza del cancro è risultata maggiore nei pazienti con livelli basali di colesterolo < 160 mg/dl rispetto a quelli con valori più elevati. Tuttavia, una revisione generale dei dati provenienti dagli studi epidemiologici ha concluso affermando che non è possibile effettuare un’interpretazione definitiva dell’associazione tra bassi livelli di colesterolo e cancro ma che questa può essere spiegata dalla presenza di fattori di confondimento (19). In tal senso, una possibile spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che la riduzione dei livelli di colesterolo rappresenta soltanto l’effetto della patologia e non la sua causa (19).

Commenti alla metanalisi
A causa di questa spinosa questione, la meta-analisi è stata sottoposta ad una ferrea critica evidenziata ad esempio dalle seguenti due lettere, fra quelle inviate all’editore.

De Maria e Ben-Yehuda (22) hanno sottolineato che sin dall’inizio di tale revisione, si evidenzia l’imperfezione dei dati riportati. Gli stessi autori risaltano una serie di limitazioni quali l’uso retrospettivo di dati riassuntivi, l’uso di dati provenienti da trial clinici piuttosto che dal “mondo reale” e la mancanza di una standardizzazione degli eventi avversi riportati nei singoli trial. Inoltre, ad eccezione dello studio PROSPER (Prospective Study of Pravastatin in the Elderly at Risk) nessun altro trial ha evidenziato un incremento dell’incidenza di cancro rispetto al placebo (14).
LaRosa (23) sottotinea il fatto che l’assenza di alcuna predominanza tra i vari tipi riportati di cancro lascia supporre che un’eccessiva riduzione dei livelli plasmatici di colesterolo possa favorire lo sviluppo di un’ampia varietà di tumori. Tuttavia, sebbene ciò sia possibile, un meccanismo universale di alterazione cellulare, collegato al metabolismo del colesterolo, non è stato ancora descritto. Inoltre, poiché la durata media dei trial presi in considerazione in questa meta-analisi non supera i 5 anni, tale fenomeno appare troppo rapido per poter essere associato alla riduzione dei livelli di colesterolo.
Sulla base di quanto detto, è importante sottolineare che, se da una parte l’utilizzo cronico di statine in pazienti ad alto rischio cardiovascolare può ridurre in maniera significativa il rischio di patologie cardiovascolari, d’altro canto un aumento del rischio di morbilità o di mortalità oncologica non è stato ancora dimostrato e ciò rende ancora favorevole il rapporto benefico/rischio delle statine nei confronti di tale effetto.

Bibliografia

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LaRosa JC, et al. Intensive lipid lowering with atorvastatin in patients with stable coronary disease. N Engl J Med 2005; 352: 1425–35.
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de Lemos JA, et al. Early intensive vs a delayed conservative simvastatin strategy in patients with acute coronary syndromes: phase Z of the A to Z trial. JAMA 2004; 292: 1307–16.
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Wannamethee G, et al. Low serum total cholesterol concentrations and mortality in middle aged British men. BMJ 1995; 311: 409 –13.
DeMaria AN, Ben-Yehuda O. Low-density lipoprotein reduction and cancer: not definitive but provocative. J Am Coll Cardiol 2007; 50: 421-2.
LaRosa JC. Means and ends of statins and low-density lipoprotein cholesterol lowering. J Am Coll Cardiol 2007; 50: 419-20.

Fonte: http://www.farmacovigilanza.org/corsi/071031-02.asp

 

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IL COLESTEROLO E LE SUE VITALI FUNZIONI PER L’ORGANISMO

Andiamo con questo articolo un poco in controtendenza e scriviamo delle virtù di una sostanza troppo spesso demonizzata e identificata come pericolosa per la nostra salute. Parleremo anche delle possibili gravi conseguenze insite nel tentativo a volte maldestro ed abusato di abbassarne il valore con interventi che alterano pericolosamente la naturale (e salutare) fisiologia del nostro organismo.

Il COLESTEROLO da un punto di vista chimico è un lipide che svolge numerose funzioni ESSENZIALI.
Oltre ad essere un importante costituente delle membrane cellulari è di fondamentale importanza per l’azione che svolge in qualità di precursore nella formazione di diversi ormoni steroidei e dei sali biliari.
La maggior parte del colesterolo presente nel sangue è prodotto dal fegato tuttavia una certa quantità di questo lipide, si stima circa il 20%, viene assorbita direttamente dagli alimenti, in particolare dai grassi saturi contenuti nei cibi di origine animale.
Per “viaggiare” all’interno del nostro corpo il colesterolo si avvale delle lipoproteine, particelle di diverse dimensione dotate di una parte centrale formata da colesterolo e trigliceridi in proporzioni diverse e da un involucro esterno di fosfolipidi e apoproteine, le proteine trasportatrici.

Da quanto evidenziato sembrerebbe alquanto strano imputare ad una sostanza di vitale importanza per il nostro organismo valenze assolutamente negative e da trattare con tutta una classe di farmaci, le statine, per abbassarne il livello.

La “teoria lipidica”, che associa direttamente il livello di colesterolo ematico con l’insorgenza di patologie cardiovascolari, si sviluppa intorno agli anni ’50 e sostiene che sia proprio questo lipide il principale responsabile della formazione delle placche all’interno dei vasi che lentamente possono ostruirne il lume e per tale motivo ne consiglia la riduzione del livello circolante nel sangue.
Date le premesse iniziali però anche il semplice buon senso ci dovrebbe far sospettare e prendere le distanze da questa troppo semplicistica visione della realtà.
In effetti non si capisce come il nostro corpo con la sua “intelligenza istintiva”, decisamente superiore alle superficiali congetture umane, debba autoprodursi in grandi quantità una sostanza potenzialmente letale o comunque dannosa per la salute.

Ma all’industria farmaceutica non interessava più di tanto approfondire la questione, ormai aveva trovato un nemico da combattere e soprattutto escogitato un farmaco che prometteva lauti guadagni.
La presenza di colesterolo nelle placche è bastata per iniziare tutta una propaganda di demonizzazione con relativi drastici interventi a mezzo di farmaci per ridurne la quantità.
Certo si davano anche indicazioni dietetiche e comportamentali spesso però pericolose come la sostituzione del naturale burro con la margarina od altri composti vegetali idrogenati assolutamente dannosi in quanto completamente estranei alla nostra naturale fisiologia.

Oltretutto è di evidenza assoluta la difficoltà di ridurre con semplici accorgimenti dietetici in modo significativo una sostanza che è prodotta in larga misura, come detto poc’anzi, dal nostro organismo.

Scendono quindi in campo le statine, farmaci che vanno ad inibire parzialmente un enzima (HMG-CoA reduttasi”) responsabile della produzione endogena di colesterolo da parte del fegato.
Per vendere molti farmaci occorreva però stabilire dei livelli di colesterolo “salutari” sempre più al ribasso ed è per tale motivo che nei parametri di laboratorio il livello “normale” nel corso degli ultimi anni è stato abbassato più volte da tutta una serie di esperti, alcuni dei quali scoperti poi essere al soldo delle case farmaceutiche.

Vendita delle statine che non conosce crisi, anzi capita spesso di leggere studi sulle loro incredibili proprietà in relazione anche ad altre patologie, farmaci polivalenti potremmo dire. Cosa non si inventa la parte degenerata della medicina (quella degli affari) per arricchire le proprie casse.

Al contrario tutta una serie di analisi e studi più attenti hanno dimostrato che la famosa “placca” va a svilupparsi solo in presenza di una lesione o di una infiammazione della parete dei vasi, quindi chi ha additato il colesterolo come agente primario della malattia vascolare ha confuso le cause con gli effetti.
Inoltre la frazione di colesterolo potenzialmente dannosa parrebbe essere solamente quella delle LDL ossidate, ma qui entrano in gioco le capacità antiossidanti proprie del nostro corpo insieme a tutte quelle sostanze antiossidanti e protettive contenute nei cibi, mi riferisco in particolare ai micronutrienti.
Alla luce di questi fatti occorrerebbe quindi un ribaltamento totale della teoria lipidica ma come si può ben intuire ciò non avviene, o avviene molto lentamente nonostante le autorevoli prese di posizione di molti medici e ricercatori, in quanto gli interessi economici in gioco sono ancora troppo forti.

Abbiamo quindi visto come il beneficio che ne trae l’organismo dall’avere livelli di colesterolo più bassi esista solo sulla carta. Escludiamo chiaramente situazioni rare e particolari in cui vi sia un livello di questo lipide con valori veramente abnormi dovuti probabilmente a questioni di genetica familiare.

Di tutt’altro spessore invece sono gli effetti avversi delle statine e non potrebbe essere diversamente in quanto con la loro azione vanno ad interferie con la naturale fisiologia dell’organismo, concetto quest’ultimo che ripetiamo spesso in quanto di fondamentale importanza. Come se in un certo senso avessimo dalla nascita un difetto di serie da riparare ma il nostro corpo sa spesso e meglio di noi ciò che deve o non deve fare.

L’effetto avverso più clamoroso è l’inibizione della produzione endogena di Coenzima Q10, molecola indispensabile e di cui abbiamo già parlato in questo sito. Infatti lo stesso enzima che sintetizza il colesterolo è implicato anche nella produzione endogena di Q10.
Altro problema riguarda il noto danno (rabdomiolisi) che possono provocare le statine in relazione alla funzionalità muscolare.
Per chi vuole approfondire l’argomento sugli “effetti avversi” rimando comunque agli altri contributi che trovate sempre su questo sito.

Mi preme invece, per terminare questo articolo, focalizzare l’attenzione sull’effetto voluto dalle statine, cioè l’abbassamento del colesterolo, in particolare nella sua frazione LDL. Tale fatto per la medicina naturale nasconde un errore concettuale enorme, tipico di una troppo diffusa corrente di pensiero medico-specialistica che manca di una visione d’insieme del funzionamento della “macchina umana”.
Abbiamo ribadito all’inizio che il colesterolo è prodotto in massima parte dal nostro fegato, questo è un fatto che non può passare inosservato e che deve essere intelligentemente interpretato.
Un livello quindi non adeguato di colesterolo, indotto proprio dall’uso di farmaci, non può non avere effetti negativi per tutto l’organismo.

Anche su questo punto indico di seguito alcuni studi che ben descrivono i pericoli che possono derivare da un valore troppo basso del colesterolo, in particolare della frazione LDL, il cosiddetto colesterolo “cattivo”.

A questo punto mi sembra del tutto logico augurare un buon colesterolo a tutti.

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HELICOBACTER e ALLERGIE

HELICOBACTER e ALLERGIE

 

Scritto da Enzo Verga il 18/10/2011

Riporto di seguito uno studio pubblicato recentemente sulla rivista “Journal of Clinical Investigation”in quanto lo ritengo emblematico per comprendere l’unicità del nostro organismo e di come alterandone anche a scopo “curativo” il suo terreno si possano turbarne gli equilibri ed ottenere risultati non sempre virtuosi.
Nella pratica medica comune il batterio “Helicobacter Pilori” spesso è messo sotto accusa come causa di problemi a livello digestivo, gastriti, ulcere ecc…. Se rilevata la sua presenza tramite le consuete indagini strumentali vengono di norma prescritti antibiotici per debellarlo.
In Medicina Naturale invece la domanda primaria che dobbiamo porci è sul perché un batterio trovi un terreno talmente fertile da svilupparsi in modo anomalo fino a diventare aggressivo e potenzialmente pericoloso per il nostro organismo.
La risposta come appare evidente è da cercare nelle cattive condizioni in cui giace il nostro apparato gastro-enterico, nello sviluppo della febbre gastro-intestinale come direbbe Lezaeta, che permette al batterio di poter fare danni. Anche in questo caso quindi l’intervento “causalista” non può certo limitarsi a bombardare il microbo, bensì nel riequilibrare il “terreno” che ha consentito la manifestazione di tale squilibrio patologico. Anche perché, come riportato nello studio, l’Helicobacter quando vive in perfetta simbiosi con il nostro organismo svolge un ruolo protettivo per la nostra salute.

IL BATTERIO HELICOBACTER PROTEGGE DALLE ALLERGIE

Il batterio Helicobacter pilori protegge dall’asma provocata dalle allergie.
Lo afferma uno studio pubblicato dalla rivista Journal of Clinical Investigation, secondo cui l’aumento dei casi di questa patologia nei paesi occidentali potrebbe essere dovuto proprio alla progressiva scomparsa di questo microrganismo.

Nello studio i ricercatori dell’Università di Zurigo hanno infettato alcuni topi con il batterio che nella maggior parte dei casi non è pericoloso per l’organismo.
Le cavie infettate a pochi giorni di vita hanno sviluppato una tolleranza immunologica al batterio e nessuna risposta allergica ai principali allergeni. Un gruppo di controllo di topi non infettati invece è risultato fortemente allergico.

“L’infezione precoce aumenta la produzione di cellule T, che sono fondamentali per regolare la risposta immunitaria – hanno spiegato gli autori – e questo spiega il meccanismo protettivo”. Una volta trapiantate le cellule T nei topi allergici, hanno dimostrato gli esperti, anche questi guadagnano l’immunità, che però viene persa se si uccide il batterio con gli antibiotici.

Fonti: Sanitànews 07 luglio 2011

Per approfondimenti:

 

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CANCRO: IL LATO OSCURO DELLA “PREVENZIONE SECONDARIA”

CANCRO: IL LATO OSCURO DELLA “PREVENZIONE SECONDARIA”

«Per sovradiagnosi si intende il riscontro in fase di screening di anomalie che soddisfano la definizione patologica del tumore ma che in realtà non lo sono o sono a crescita lenta, e quindi non arriveranno mai a causare sintomi»

SOVRADIAGNOSI E SCREENING ONCOLOGICO: MEDICI INFORMANO POCO PAZIENTI.

I medici informano i loro pazienti sulla possibilità di sovradiagnosi e sovratrattamento derivanti da uno screening oncologico? Si direbbe di no, almeno a giudicare dai risultati descritti in una lettera di ricerca pubblicata su Jama Internal Medicine da Gerd Gigerenzer, ricercatore dell’Istituto Max Planck di Berlino, in Germania.

«Lo screening dei tumori è in grado di produrre grandi benefici in molti tipi di cancro: trovare tempestivamente la neoplasia in agguato ed eliminarla definitivamente in una fase più precoce possibile» esordisce il ricercatore tedesco, puntualizzando però che lo screening ha anche dei punti deboli, tra cui spiccano i possibili danni da eccesso di diagnosi e di trattamento. «Per sovradiagnosi si intende il riscontro il fase di screening di anomalie che soddisfano la definizione patologica del tumore ma che in realtà non lo sono o sono a crescita lenta, e quindi non arriveranno mai a causare sintomi» dice Gigerenzer.

La scontata e involontaria conseguenza della sovradiagnosi è il sovratrattamento, cioè la somministrazione al paziente di chirurgia, chemioterapia o radioterapia che non portano alcun beneficio, ma solo effetti avversi. «Per fare un esempio, ogni 2.000 donne sottoposte a una mammografia di screening nell’arco di 10 anni si evita un decesso per cancro al seno. Allo stesso tempo sono circa 10 le donne che invece ricevono una diagnosi errata di cancro al seno e vengono trattate inutilmente» spiega. «Alla luce di questi dati viene spontaneo chiedersi se i pazienti sono adeguatamente informati dai loro medici della possibilità di sovradiagnosi quando si parla di iniziare o proseguire uno screening per il cancro» Per rispondere i ricercatori hanno condotto un sondaggio online su 317 uomini e donne tra 50 e 69 anni. E i dati raccolti indicano che solo il 9,5% dei partecipanti era stato avvisato del rischio di sovradiagnosi.

«Dai nostri risultati emerge che in fatto di consenso informato allo screening oncologico i medici non soddisfano ancora gli standard dei pazienti» osserva il ricercatore. «La maggioranza di loro voleva informazioni sui danni associati allo screening, che non sono stati forniti, e ha detto che nei casi in cui la sovradiagnosi è confrontabile a quella dello screening del seno o della prostata (uno o più casi per ogni vita salvata) non avrebbe accettato di partecipare allo screening».
22/10/2013

fonti: doctor33 JAMA Intern Med. 2013;173(22)

http://archinte.jamanetwork.com/
article.aspx?articleid=1754987

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STATINE E DISTURBI MUSCOLO SCHELETRICI

Un altro studio che relaziona problematiche di salute e carenza di Coenzima Q10, indotto in questo caso dall’uso di STATINE. Attenzione all’assunzione spesso fatta con troppa disinvoltura di questa classe di farmaci.

USO STATINE E AUMENTO DISTURBI MUSCOLO-SCHELETRICI

L’uso delle statine contro il colesterolo si associa a un lieve aumento di disturbi muscolo-scheletrici come lesioni e artropatie, secondo un articolo pubblicato online su Jama Internal Medicine.
«I farmaci ipolipemizzanti come le statine sono comunemente usati per il trattamento dell’ipercolesterolemia» Dice Ishak Mansi, ricercatore del North Texas Veterans Administration  Health Care System di Dallas, Texas e coautore dello studio, sottolineando che tra gli effetti collaterali più comuni vi è la miopatia. «La miopatia da statine consiste in uno spettro di disturbi che vanno da una mialgia lieve alla rabdomiolisi addirittura fatale» riprende il ricercatore, puntualizzando che il meccanismo alla base dei disturbi muscolari non è noto.
Un’ipotesi è che l’alterazione della sintesi di colesterolo porti a modifiche nelle membrane dei miociti, alterandone il comportamento biochimico. Un altro meccanismo potrebbe essere l’alterazione nella sintesi dei composti della via del colesterolo, in particolare UN DEFICIT DI COENZIMA Q10, che determina alterazioni enzimatiche mitocondriali. Infine, in causa potrebbe esserci la deplezione degli isoprenoidi, lipidi prodotti della via dell’idrossi-metil-glutaril coenzima A reduttasi che prevengono l’apoptosi delle fibre muscolari.
E per verificare la frequenza e il tipo di disturbi muscoloscheletrici associati alle statine Mansi e colleghi hanno utilizzato in modo retrospettivo i dati relativi all’anno fiscale 2005 del sistema di assistenza sanitaria dedicato ai veterani di guerra, dividendo i partecipanti selezionati in due gruppi: gli utilizzatori di statine per almeno 90 giorni e i non consumatori. Un totale di 46.249 soggetti ha soddisfatto i criteri di studio, e tra questi 6.967 che assumevano statine sono stati accoppiati ad altrettanti soggetti che non ne facevano uso, osservando una frequenza di disturbi assai elevata in entrambi i gruppi, con un mopdesto incremento tra i soggetti in terapia: «Disturbi muscolo-scheletrici, artropatie, lesioni e dolore muscolare sono più comuni tra gli utilizzatori di statine rispetto ai coetanei non consumatori. Il nostro approccio esplora la gamma completa di eventi avversi muscoloscheletrici da statine, ma ulteriori studi sono necessari in questo senso, specie nei soggetti fisicamente attivi» conclude Mansi.
Fonti: Doctor33, 04/06/2013

http://archinte.jamanetwork.com/journal.aspx

 

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FARMACI REAZIONI AVVERSE

LE REAZIONI AVVERSE AI FARMACI PRODUCONO 40 MILA MORTI OGNI ANNO.

È una vera e propria strage quella provocata ogni anno dalle reazioni avverse ai farmaci (Adverse Drugs Reactions, ADRs), le cui principali vittime sono gli anziani, maggiori fruitori di terapie farmacologiche.
A denunciarlo é il centro studi Sic, Sanità in cifre di FederAnziani, che ha passato al setaccio 95 studi pubblicati negli Usa e che, comparando i numeri americani sia demografici che economici con la popolazione e i costi sanitari italiani, fanno emergere delle ”cifre terrificanti”.

Infatti, evidenzia Sic in una nota, ”il bilancio a cui è arrivato il centro studi di FederAnziani porta alla triste e tragica strage di circa 40.000 morti l’anno, senza che nessuno paghi per questo.

Inoltre costano un surplus di 1.752.000 giornate di degenza, di 3,4 mln di visite in pronto soccorso, e lo stratosferico numero di accessi di 23.000.000 di prestazioni medico-sanitarie non necessarie, e come ciliegina sulla torta 630.000 giorni di prolungamento del tempo di degenza che potevano essere evitati, che portano, sempre secondo il rapporto demografia e costi tra Italia e America, ad una stima di 10 miliardi di euro di costo in più alla collettività”.

Questi sono i dati relativi all’Italia, paese, evidenzia il centro studi, ”in cui non è mai stato realizzato alcuno studio approfondito in materia. Il lavoro del centro studi Sic, frutto di una elaborazione dei numeri relativi al fenomeno negli Stati Uniti comparata con i dati demografici del nostro Paese, porta a dati che, se confermati da una futuro ed auspicabile ricerca da eseguire da commissioni e uffici competenti, non potranno che avere, secondo gli esperti di Federanziani, un indice di scostamento più/meno del 20% rispetto a quello americano. Ciò che più preoccupa il centro studi di Federanziani é il fatto che le ADRs rappresentano la quarta causa di morte negli Usa e, pur postasi la domanda:
“Ma in Italia?”, non ha trovato nessuna risposta, e, pur domandando ad esperti, si è trovata la desolante dichiarazione: “non abbiamo studi approfonditi in materia”.

Infine, ”considerando che in Francia, Germania e Gran Bretagna fra il 1961 ed il 1993 sono stati ritirati dal commercio per ragioni di sicurezza 126 farmaci, l’87% dei quali a causa di gravi reazioni avverse, il centro studi Sic di FederAnziani non ha trovato riscontri significativi su ritiri dal commercio per ragioni di ‘sicurezza’ in Italia, come hanno fatto gli altri”. FederAnziani, ”a seguito di questo scioccante studio, ha proposto all’Aifa di poter ottenere un modulo, preparato dall’Agenzia del Farmaco, da poter far compilare a tutti i suoi iscritti segnalando così eventuali reazioni avverse, poiché per pigrizia, mancanza di tempo e volontà, le segnalazioni che pervengono tramite farmacie, medici, ospedali e ASL alla competente Commissione di farmacovigilanza sono al di sotto delle soglie accettabili”.

Fonti: http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=4679

Sanità News, 06 luglio 2011

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